Frosinone, L’analisi del Vice Presidente di MCL,Dario Ceci
Nei giorni scorsi, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9216/2025, ha affermato che: “ogni bambino ha diritto a vedersi riconosciuto per quello che è, anche nei documenti d’identità, e stabilisce che indicare due “genitori”, anziché forzare i ruoli in “padre” e “madre”, non è solo una questione formale, ma di uguaglianza”. In sintesi secondo la Cassazione, l’obbligo di scrivere «padre» e «madre» non solo non ha fondamento giuridico, ma è anche in contrasto con la realtà sociale di molte famiglie. Sul caso è intervenuto il Vice Presidente Provinciale del MCL (Movimento Cristiano Lavoratori) Dario Ceci. “La recente sentenza della Corte di cassazione che sostituisce “madre” e “padre” con “genitore” nei documenti d’identità –si legge in una nota di Ceci- rappresenta un cambio paradigmatico che merita un’analisi approfondita, non solo tecnico-giuridica (che lascio ovviamente ai più titolati ed esperti azzardando un mio personale ragionamento) ma anche culturale e sociale (sentendomi qui, forse, più “autorizzato” a dire la mia come padre ed operatore sociale). La distinzione tra madre e padre non è una mera formalità burocratica, ma riflette una realtà biologica e un’esperienza umana universale. Le figure materna e paterna portano con sé significati, ruoli e valori distintivi che hanno modellato la società italiana per generazioni. La cancellazione di questi termini dai documenti ufficiali rischia di contribuire a un impoverimento del linguaggio che descrive le relazioni familiari, riducendo la ricchezza semantica a una neutralità che non riconosce la specificità delle esperienze. La decisione –continua la nota- solleva interrogativi sul bilanciamento tra diversi principi costituzionali. Se da un lato la Corte richiama il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), dall’altro sembra sottovalutare l’articolo 29 che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. La scelta terminologica nei documenti pubblici non è neutra e implica una specifica visione della famiglia che potrebbe eccedere il ruolo interpretativo della Corte, configurandosi come una decisione che spetterebbe al legislatore nell’ambito del dibattito democratico. L’uniformazione terminologica solleva questioni di coerenza con altri documenti e registri pubblici dove permanente è la distinzione. Inoltre, la genericità del termine “genitore” potrebbe creare ambiguità in contesti dove la specificazione del ruolo genitoriale è rilevante per ragioni amministrative, sanitarie o educative. La chiarezza e precisione nei documenti pubblici è un valore da preservare a tutti i costi e in ogni circostanza. Numerosi studi evidenziano come la differenziazione dei ruoli genitoriali contribuisca alla formazione dell’identità del bambino. Riconoscere la specificità della relazione materna e paterna non significa necessariamente aderire a stereotipi rigidi ma, al contrario, evidenziare la ricchezza della complementarità genitoriale. La sentenza sembra confondere l’uguaglianza giuridica con l’indifferenziazione dei ruoli. Una critica costruttiva dovrebbe, allora, riconoscere la legittima preoccupazione di tutelare tutte le forme familiari, ma contestare la soluzione adottata nel rispetto dell’autorevole organo costituzionale senza per questo essere tacciati di “insubordinazione”: le sentenze chi dice che non possono essere criticate quando emesse nel “nome del Popolo italiano”? Sarebbe stato possibile trovare formule inclusive che non cancellassero le specificità di madre e padre. Ad esempio, si sarebbero potuti adattare i moduli per accogliere diversi familiari, mantenendo al contempo la possibilità di identificare specificamente i genitori quando opportuno. In conclusione –sottolinea il Vice Presidente provinciale di MCL Dario Ceci- la critica alla sentenza non implica necessariamente un rifiuto del riconoscimento di nuove realtà familiari, ma sottolinea come tale riconoscimento non debba avvenire attraverso una semplificazione che cancella distinzioni significative di millenaria tradizione. Una società pluralista dovrebbe essere capace di accogliere la diversità senza annullare le specificità, trovando soluzioni creative che rispettino tutte le sensibilità in gioco senza impoverire il linguaggio delle relazioni familiari”.