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Paolo Battaglia La Terra Borgese e Paola Meledandri, il Critico e l’Avvocata: “Lo sgretolamento impressionista”

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di Paolo Battaglia La Terra Borgese e Paola Meledandri

Tra le nostre due professioni sussistono legami incorporei che nascono da una coincidenza di sensazioni e di stati d’animo dettati dalla poesia della bellezza e, perciò, della giustizia: “Il Cielo Stellato Sopra di me, la legge morale dentro di me”, affermava Kant. Così evidenziano il critico d’arte palermitano Paolo Battaglia La Terra Borgese e l’avvocata romana Paola Meledandri

Paolo Battaglia La Terra Borgese e Paola Meledantri

Negli ultimi anni dell’Ottocento si cominciò ad avvertire uno sgretolamento del gruppo impressionista. Nuove tendenze si facevano avanti – scrivono Paolo Battaglia La Terra Borgese e Paola Meledandri:

«La più intellettuale fu quella di Seurat, (seguito poi da Signac), che venne chiamata “pointillisme” o “puntinismo”.

Dallo studio delle leggi ottiche e della composizione dei colori, Georges Seurat passò all’applicazione pratica, dipingendo grandi quadri come Domenica alla Grande Jattee Il circo, o piccole opere come la Modella nello studio, con colori puri, accostati l’uno all’altro secondo una tecnica particolare, a piccoli punti. Osservati da vicino, questi dipinti sembrano un mosaico: da lontano, le forme si compongono e si fondono, e l’armonia dei colori risulta completa.

Lo seguì con appassionato interesse anche Gino Severini, che più tardi aderirà al Futurismo, in una evoluzione pittorica comune anche a Boccioni e a Balla. In Italia si ebbe qualcosa di analogo al “pointillisme” di Seurat nel divisionismo di Giovanni Segantini e di Previati.

Anche Paul Gauguin aveva esposto con gli Impressionisti, incoraggiato da Pissarro, ma si staccò ben presto dal gruppo per elaborare una pittura nuova, a grandi macchie piatte di colore, con un’esaltazione delle tonalità calde che già prelude all’Espressionismo.

Un altro pioniere è Vincent Van Gogh. Con le sue tinte accese, le sue pennellate tormentate, anche Van Gogh apre la via all’Espressionismo, che si varrà della forza del colore per trasmettere emozioni e stati d’animo.

Sempre in questa direzione, Henri de Toulouse-Lautrec, creatore del manifesto moderno per le sue coloriture piatte, mette l’accento sulla espressione dei volti, sfiorando a volte la caricatura. Le sue figure, fortemente contornate, non hanno più nulla in comune con le evanescenti immagini del primo Impressionismo. Lautrec influenzò anche una giovane modella rivelatasi ottima pittrice: Suzanne Valadon, una figura-chiave dell’ambiente artistico di Montmartre. È la madre di Utrillo, il pittore che nei primi anni dello scorso secolo comincerà a dipingere, con un tocco fresco e incantato, debitore in parte della pittura impressionista, i suoi angoli di Parigi, evocatore di un mondo semplice e primitivo ormai scomparso per sempre.

Altre soluzioni, con forme più conchiuse e pittoricamente risolte, furono offerte da Pierre Bonnard (1867-1947), –di cui esamineremo, anticipano Paolo Battaglia La Terra Borgese e l’avvocata Paola MeledandriGrande nudo allo specchio (1931)- e da Vuillard, in quella corrente chiamata “neoimpressionismo”: il primo con una gamma di colori brillanti e chiari, che ricordano spesso Renoir; il secondo con abili chiaroscuri e “tagli” sapienti, che ancora oggi hanno qualcosa da dire alla pittura moderna.

E in Italia? L’eco delle innovazioni portate dall’Impressionismo giunse a Firenze e a Livorno, dove i nostri Macchiaioli si arrovellavano, incompresi dal pubblico, intorno ai problemi della luce. Ma quando Fattori, l’esponente del gruppo, si recò a Parigi, dichiarò sdegnosamente che non aveva più nulla da imparare.

A Roma giunsero invece le riproduzioni dei quadri di Seurat, che Giacomo Balla aveva portato da Parigi. Per alcuni giovani fu una rivelazione. Umberto Boccioni e Gino Severini si cimentarono in quel linguaggio nuovo e lo trasformarono poi, attraverso successive elaborazioni, nel dinamismo futurista.

Ormai, col nostro secolo, i grandi Impressionisti hanno compiuto il loro ciclo. Tutti morti. Da lontano, il vecchio Monet, a ottantaquattro anni, assisteva alle nuove esperienze della pittura e non le capiva. “Ho sempre avuto il terrore delle teorie”, scriveva poche settimane prima di morire a un amico. “Non ho che il merito di aver dipinto direttamente di fronte alla natura, cercando di rendere le mie impressioni davanti agli effetti più fuggevoli, e sono desolato di essere stato la causa di un nome dato a un gruppo in cui la maggior parte non aveva nulla di impressionista”.

È l’amara confessione di un artista sopravvissuto al suo tempo, che vede sfilare sotto i suoi occhi quadri cubisti, espressionisti, surrealisti, futuristi, astratti; e non ha capito che la pittura moderna è cominciata proprio da lui.

Ma andiamo alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia, al palazzo Ca’ Pesaro, al Nudo allo specchio dipinto di Pierre Bonnard.

Pierre Bonnard Nudo allo specchio

Il suo soggetto propone un interno con figura femminile nuda davanti allo specchio, si tratta di un olio e tempera su tela del 1931, che misura 153,5 x 104,3 centimetri.

Le Bagnanti di Renoir, immerse nella dolce luce solare, si trasformano attraverso la pittura di Bonnard in fragranti figure di donne colte nella intimità della loro stanza, intente alla toilette. Bonnard ha dipinto decine di Nudi, in piedi, chinati, di spalle, di fronte, di profilo, e la luce che bagna le carni investe anche tutti gli oggetti della stanza, fino a creare un’atmosfera sola, compatta, fragrante, senza smagliature.

Nel Nudo allo specchio la figura di donna taglia coraggiosamente a metà la composizione, ma è bilanciata alla sinistra dall’apertura dello specchio in cui si riflette parte della stanza, con la sua lunga cornice verticale.

A destra, il tavolino da toeletta con gli elementi diversi che arredano la stanza.

La luce proviene dalle spalle della donna e ne accarezza dolcemente il dorso. Sembra per un momento di tornare al mondo dell’Impressionismo.

Eppure la tecnica di Bonnard è affine solo in apparenza a quella degli Impressionisti. A uno sguardo più attento, ci si rende conto che le sue pennellate fresche, vibranti, abili nel modellare con pochi tocchi di colore, riescono a creare un diverso linguaggio e una nuova realtà poetica.

Anche qui siamo nel mondo del colore puro, portato più avanti dopo l’insegnamento dell’Impressionismo.

Ma fin dall’inizio Bonnard è stato in polemica con la pittura contemporanea. In un primo tempo fece parte di un gruppo che, intorno al 1891, si chiamava dei “Nabis” (“Nabis” in ebraico significa “profeta”) per una certa ingenuità, per il desiderio di vedere le cose con occhi nuovi. Era un modo di reinventare la realtà, che per un certo periodo divenne anche Simbolismo.

Gli artisti, che facevano capo alla Revue Blanche, si chiamavano Maurice Denis, Vuillard, Roussel; con Bonnard, essi rappresentano attraverso la pittura un’esaltazione della bellezza e della giovinezza.

Si racconta che Bonnard dipinse 2000 tele e che quasi un loro terzo è occupato dalla figura di Marthe, sua musa e sposa. Ma è davvero sempre lei la donna raffigurata?»

Paolo Battaglia La Terra Borgese e Paola Meledandri