Il detenuto tunisino era stato incappucciato con la federa di un cuscino, preso a calci e pugni, denudato e percosso nuovamente
REGGIO EMILIA – Incappucciato con la federa di un cuscino, atterrato con uno sgambetto e immobilizzato a terra. Poi colpito con calci e pugni in viso e sul corpo e calpestato dai suoi aggressori. Quindi denudato, percosso ancora e lasciato per quasi un’ora in una cella di isolamento. Infine soccorso da un medico, ma solo quando ha rotto il lavandino della cella e, per richiamare l’attenzione, ne ha prima scagliato i cocci contro le pareti e poi li ha usati per procurarsi delle ferite così profonde che il suo sangue ha “allagato il corridoio”. Sono i dettagli choc del pestaggio avvenuto il 3 aprile scorso nel carcere di Reggio Emilia ai danni di un detenuto 40enne di origini tunisine, da parte di un gruppo di agenti della polizia penitenziaria.
A riferirli è oggi il procuratore capo di Reggio Emilia Calogero Gaetano Paci che sull’episodio -già denunciato dalla senatrice Ilaria Cucchi e formalizzato in un esposto dalla vittima il 7 aprile- ha deciso di vedere chiaro fino in fondo aprendo un’inchiesta. Le indagini, delegate al nucleo investigativo interno della polizia penitenziaria (Nic) con il supporto di quello regionale (Nir), hanno portato a iscrivere nel registro degli indagati 14 tra agenti e sottoufficiali in servizio nel penitenziario di via Settembrini, alcuni di lungo corso, altri appena assunti. Per 10 di loro sono scattate delle misure cautelari, ma per nessuno l’arresto, come avanzato al Gip dall’ufficio del pubblico ministero. In particolare otto persone, accusate in concorso del reato di tortura, sono state sospese dal servizio per un anno. Altre due, a cui si contestano i reati di lesione e falso in atto pubblico, sono state interdette dai loro uffici per 10 mesi.
REGGIO EMILIA – Incappucciato con la federa di un cuscino, atterrato con uno sgambetto e immobilizzato a terra. Poi colpito con calci e pugni in viso e sul corpo e calpestato dai suoi aggressori. Quindi denudato, percosso ancora e lasciato per quasi un’ora in una cella di isolamento. Infine soccorso da un medico, ma solo quando ha rotto il lavandino della cella e, per richiamare l’attenzione, ne ha prima scagliato i cocci contro le pareti e poi li ha usati per procurarsi delle ferite così profonde che il suo sangue ha “allagato il corridoio”. Sono i dettagli choc del pestaggio avvenuto il 3 aprile scorso nel carcere di Reggio Emilia ai danni di un detenuto 40enne di origini tunisine, da parte di un gruppo di agenti della polizia penitenziaria.
A riferirli è oggi il procuratore capo di Reggio Emilia Calogero Gaetano Paci che sull’episodio -già denunciato dalla senatrice Ilaria Cucchi e formalizzato in un esposto dalla vittima il 7 aprile- ha deciso di vedere chiaro fino in fondo aprendo un’inchiesta. Le indagini, delegate al nucleo investigativo interno della polizia penitenziaria (Nic) con il supporto di quello regionale (Nir), hanno portato a iscrivere nel registro degli indagati 14 tra agenti e sottoufficiali in servizio nel penitenziario di via Settembrini, alcuni di lungo corso, altri appena assunti. Per 10 di loro sono scattate delle misure cautelari, ma per nessuno l’arresto, come avanzato al Gip dall’ufficio del pubblico ministero. In particolare otto persone, accusate in concorso del reato di tortura, sono state sospese dal servizio per un anno. Altre due, a cui si contestano i reati di lesione e falso in atto pubblico, sono state interdette dai loro uffici per 10 mesi.
L’inchiesta aperta dalla Procura di Reggio Emilia sul pestaggio in carcere di un detenuto tunisino -con 14 agenti penitenziari indagati e 10 misure coercitive emesse- è “l’ennesima dimostrazione dell’importanza di aver approvato una legge che punisse la tortura nel 2017“. Lo afferma la senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi che lo scorso aprile, proprio dopo una visita nel carcere reggiano, aveva tra l’altro denunciato l’aggressione del recluso. “In carcere si continua ad usare la tortura contro i detenuti. Una pratica che a parole tutti dicono di condannare ma che poi, in realtà, viene usata sempre più spesso, in particolare dal personale delle forze dell’ordine”, afferma Cucchi.
Le “carceri- prosegue- dovrebbero essere luoghi rieducativi, non certo un luogo dove usare tortura. Ma purtroppo non è così. Oggi le nostre carceri sono vere e proprie bombe ad orologeria pronte ad esplodere. E quello di Reggio Emilia, purtroppo, non è un caso isolato”. La senatrice evidenzia infatti che “dall’ultimo rapporto di Antigone emerge una realtà inquietante: 13 i procedimenti e i processi per presunte violenze e torture avvenute negli istituti di pena di Ivrea, Modena, Viterbo, Monza, Torino, San Gimignano, Santa Maria Capua a Vetere, Palermo, Nuoro, Bari e Salerno”. Insomma “un ‘giro d’Italia’ di violenze e torture inaccettabile e non degno di un Paese civile”, conclude Cucchi.
fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it Autore:Mattia Caiulo