Il cessate il fuoco sarebbe al centro di una prossima “proposta finale” di tregua elaborata con Egitto e Qatar
di Vincenzo Giardina e Alessandra Fabbretti
ROMA – Israele è pronta ad acconsentire alle “condizioni necessarie” per un accordo di cessate il fuoco di 60 giorni nella Striscia di Gaza, che sarebbe al centro di una prossima “proposta finale” di tregua elaborata con Egitto e Qatar: lo ha sostenuto il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in un post diffuso sul social Truth.“Lavoreremo con tutte le parti per porre fine alla guerra” ha comunicato il capo di Stato, aggiungendo: “Spero che Hamas accetti questo accordo, perché non avrà di meglio ma avrà soltanto di peggio”.Secondo l’ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite, Danny Danon, Tel Aviv è “assolutamente” pronta per un cessate il fuoco. Non è chiara per ora quale possa essere la posizione di Hamas, l’organizzazione palestinese vincitrice delle elezioni del 2006, tuttora in controllo della Striscia. L’annuncio di Trump ha preceduto un incontro a Washington con il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, previsto per lunedì prossimo.
La tesi del presidente americano è che il capo di governo, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra commessi a Gaza, dove sono state uccise oltre 56mila persone, “voglia” una tregua. Nella Striscia sono tuttora detenuti circa 50 cittadini di Israele, catturati durante gli assalti dei commando di Hamas del 7 ottobre 2023.
Le dichiarazioni di Trump sono state diffuse dopo un nuovo ordine di evacuazione rivolto questa settimana dall’esercito di Tel Aviv alla popolazione palestinese che si trova nel nord di Gaza. Almeno 20 persone erano state uccise lunedì in un raid israeliano che ha colpito un bar sul lungomare della Striscia.
HAMAS: “PRONTI A OGNI INIZIATIVA CHE PONGA FINE A GUERRA“
Tra i punti chiave di un possibile accordo di cessate il fuoco c’è la richiesta di Hamas che l’inizio della tregua si accompagni a un negoziato per una fine dei raid e dei combattimenti che sia permanente e non temporanea.
Hamas sarebbe pronto ad accettare la proposta di cessate il fuoco a Gaza “a condizione che la guerra finisca”. Lo riferiscono fonti di stampa statunitensi, citando le dichiarazioni di Taher Al-Nunu, uno dei vertici dell’organizzazione politico-militare che governa la Striscia dal 2006. Al-Nunu ha aggiunto che il Movimento è “pronto e serio sul raggiungimento di un accordo”, e ad “accettare qualsiasi iniziativa che conduca alla fine completa della guerra”.
Fonti interne al governo egiziano fanno sapere che una delegazione di Hamas è attesa oggi al Cairo per discutere anche la bozza di cessate il fuoco di 60 giorni avanzata oggi dal presidente Donald Trump.
Oltre alle bombe, la popolazione continua a subire gli effetti del blocco totale all’ingresso di elettricità, acqua potabile, cibo, forniture mediche e qualsiasi altro tipo di macchinario o materiale. Dal 27 maggio Israele ha intanto messo in piedi un sistema di distribuzione dei pacchi alimentari gestito dal consorzio statunitense Gaza Humanitarian Foundation, presso i cui siti sono state uccise non meno di seicento persone. Un meccanismo aspramente criticato dalle Nazioni Unite e dagli altri organismi umanitari, che denunciano la “privatizzazione e militarizzazione degli aiuti”, a detrimento di tutti i principi alla base dell’azione umanitaria a favore dei civili in zone di guerra.
Nei giorni scorsi quindici ong hanno avvertito che la Ghf potrebbe essere perseguita per complicità in crimini di guerra. Ad Al Jazeera oggi Toby Cadman, avvocato britannico esperto in diritto internazionale, ha detto che la Ghf rischia concretamente di essere indagata penalmente per crimini di guerra: “Come abbiamo visto” ha dichiarato il legale all’emittente del Qatar, “i colpi contro i civili, in particolare di coloro che cercano aiuto, sono incessanti: le vittime finora sono centinaia”. Un’eventuale responsabilità penale, ha chiarito l’avvocato, si potrebbe basare “sulle circostanze e sulle prove che circondano ogni singolo attacco”, aggiungendo che i responsabili non starebbero prendendo “misure sufficienti [per garantire la sicurezza dei palestinesi che cercano aiuto], se non sono direttamente coinvolti”, né starebbero “fornendo cure adeguate, il che comporta una forma di responsabilità penale”.
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